Il Confine - Concorso letterario (VIII)



Ed ecco il testo conclusivo dell'intervento al "Festival della Meraviglia", che ci dona il senso del vivere il confine.


La storia di Zano

Potrei definire Zano come una mia vecchia conoscenza, un amico da sempre. Era un ragazzo enigmatico ed elusivo, con cui ho vissuto esperienze importanti. Inconsapevolmente, mi ha donato insegnamenti cruciali. Ho bene in mente le sue mani accarezzare l’erba soffice, mentre mi domandava cosa ci separasse dal cielo.
Era l’estate prima dell’inizio del liceo e, in uno di quei pomeriggi, vicino al fiume che ci aveva insegnato a nuotare, Zano iniziò ad accendersi, parlando di quanto fosse limitante il concetto di confine. Intanto la fiamma del suo accendino a gas bruciava per accendere la sigaretta ancora spenta, incastrata, da minuti, tra le sue labbra sottili.
Negli anni successivi, io e Zano abbiamo trascorso molto tempo insieme, tempo a cui tuttora penso con malinconia. È incredibile come la malinconia sia capace di far coesistere gioia e dolore.
Zano conosceva bene il dolore e ha ben presto iniziato a lottare contro i confini che lo circondavano e da cui si sentiva oppresso. Aveva circa 15 anni quando scavalcò il confine tra legalità e criminalità, danneggiando in questo modo se stesso e ciò che aveva intorno.
Mi ricordo di una notte scura, una notte senza luna, in cui Zano, camminando per le vie nebbiose del nostro quartiere, decise di vandalizzare una delle tante statue raffiguranti la Vergine Madre. Quella sera, tra le altre cose, si rese capace di trasformare il sacro in profano. Fu solo una delle tante vicende che portarono Zano ad oltrepassare svariati confini nel corso della sua breve giovinezza.
Ci fu un tempo in cui io stesso iniziai a preoccuparmi. Notai nei suoi occhi vuoti che oramai non era più in grado di distinguere il bene dal male. Non fui in grado di aiutarlo, non conoscevo ancora il confine che distingue la malattia dalla lucidità. Intanto, intorno a lui, le persone stavano erigendo tristi confini, costituiti da alte e massicce barriere. Lui si ritrovò sempre più solo nel suo piccolo mondo, un mondo desolato in cui il suo principale svago era osservare le piante viola di lavanda. Le osservava appassire. Ogni tanto, in cerca di quiete, si dilettava nel cantare Creep, cercando di ignorarne il testo.
Zano, sempre più isolato, si dimenticò dell’importanza del confine che separa lo sfizio dal vizio, adesso nella tasca sinistra dei suoi jeans, la carta stagnola bruciata faceva compagnia all’accendino a gas, custodito in quella destra.
Qualche mese più tardi, poco prima di perdere conoscenza sdraiato sopra un divano sudicio, Zano smise di distinguere il confine tra realtà e immaginazione e, purtroppo, non fu una condizione provvisoria. Nei mesi successivi ha infatti vissuto in un mondo suo ma non raggiungibile dagli altri, mettendo di fatto un confine anche tra di noi.
Purtroppo, in tutti quegli anni ed in mezzo a tante vicissitudini, Zano non si è mai accorto, o almeno spero, che la sua corsa era in direzione di un confine crudele, un superamento ineluttabile. Pochi mesi dopo la sua maggiore età, Zano superò l’ultimo confine, passando dal mondo dei vivi a quello dei morti.
Questo ragazzo così tormentato manca da anni ormai, ma di quei pomeriggi sdraiati sull’erba non posso che ricordare le sue parole, piene di speranza e di voglia. Una voglia, forte ed appassionata, di abbattere i confini perché, come la storia di Zano mi suggerisce, solamente insieme, tutti uniti possiamo farcela.

Alessandro Cavalletti, 5LES