Il Confine - Concorso letterario (VI)


Spesso siamo noi a costruire i nostri confini, i nostri muri, il nostro scudo. Lo facciamo per proteggerci, per paura, del giudizio degli altri e soprattutto di noi stessi. Ma da questo confine buio può nascere la luce più intensa, la felicità della libertà.


Aurelia

La piccola Aurelia odiava i confini, qualsiasi forma essi avessero.
“Aurelia, attenta ai confini!”, la riprendeva la maestra con tono nervoso, come se fosse un crimine far uscire un rapido tratto di pastello dalla linea sottile di inchiostro.
Aurelia detestava quegli sciocchi disegnini scarabocchiati sulla scheda di grammatica, fotocopiati semplicemente per riempire gli spazi vuoti. Ma soprattutto non capiva perché non potesse sfumare il blu delle nuvolette in un cielo aranciato, oppure aggiungere delle foglioline attorno ai fiori.
“Dovete colorare dentro ai margini! Non voglio vedere rigacce al di fuori!”, concludeva la maestra, e la bimba non poteva che rassegnarsi.
Durante il pomeriggio, Aurelia faceva il pieno inzuppando i frollini della mamma in un bicchiere di latte freddo. Poi, dopo la merenda, poteva finalmente correre a giocare in giardino. Le piaceva palleggiare contro il muro con la palla, ma puntualmente questa finiva nel cespuglio della vicina.
“Aurelia, quante volte ti ho detto di stare attenta al muretto di confine? Forza, ora rientra in casa!”, sbuffava la mamma, mentre dalla porta finestra della cucina si dirigeva a recuperare la palla. Poi, una volta riemersa dai rami intricati del cespuglio informe, la mamma tornava in cucina e trascinava con sé anche la povera Aurelia imbronciata. Per la bimba erano altrettanto drammatici i viaggi in auto con suo padre: un vero incubo!
“Papà, perché dobbiamo fermarci qua da questi signori? Mi viene da vomitare, voglio solo tornare a casa!”, lo implorava lei. “Un po’ di pazienza tesoro, siamo in dogana, stiamo varcando il confine. Tra due minuti potremo andare.”, le spiegava allora il padre. Ma per Aurelia quell’attesa era inutile, soltanto una crudeltà verso di lei e verso il suo mal d’auto. Confini, confini, sempre confini. Non li sopportava! L’unica cosa che la faceva stare meglio in queste situazioni era chiudere gli occhi e immaginarsi nello spazio interstellare, in una capsula diretta verso l’infinito, sfrecciando in un mare di stelle lampeggianti, un nero di mille sfumature diverse davanti agli occhi.
Ma un giorno la piccola Aurelia cominciò a crescere, e dentro di lei si insinuò una paura improvvisa, inaspettata. Quel nero infinito iniziò a spaventarla, le lucine delle stelle non erano più sufficienti e navigando verso l’infinito le sembrava di perdersi nel buio, di sprofondare in un buco gravitazionale. Allora la giovane Aurelia aprì gli occhi e sbatté i piedi per terra. I suoi esercizi di matematica erano tutti scritti con la penna blu, nessuna traccia né di fiorellini né di nuvolette. A palla aveva smesso di giocarci da tanto tempo ormai, ma non perché avesse trovato di meglio da fare, semplicemente per pigrizia.
Superfluo sottolineare che preferisse stare a casa a dormire nel pomeriggio, anziché accompagnare il papà agli appuntamenti di lavoro in Svizzera. La sua vita si era ridotta ad uno schema verticale di cose che doveva necessariamente fare per un bisogno fisiologico o per la volontà di sentirsi socialmente accettata. Niente di più: sognare la spaventava, perché avrebbe voluto dire tornare sulla capsula interstellare, verso l’ignoto, senza confini. Farsi notare, brillare con la propria lucina tra mille stelle più luminose e più belle, tra cui lei non si sarebbe mai sentita abbastanza, non era sicuramente sua intenzione.
La giovane Aurelia non era infatti consapevole della bellezza che lei stessa, come una stellina, avrebbe potuto mostrare al mondo, se solo non avesse avuto paura di avvicinarsi al confine da varcare, anche solo di un pochino. Dopotutto, nella sua definizione più oggettiva, che cos’è un confine se non una linea che separa? Può essere una linea concreta, come un muro di mattoni, ma anche una serie di punti senza dimensione, posti l’uno dietro l’altro a comporre un’idea. E, tra queste due parti, la più affascinante resterà sempre il confine stesso, che nella sua duplice natura rappresenta l’illusione della separazione del tutto. Un muro di mattoni può essere demolito ed i mattoni portati via, così si scopre che l’erba è la stessa da entrambi i lati. Una lacrima parte da dentro, carica delle vibrazioni dell’anima, varca le soglie della palpebra aperta e si mostra al di fuori sul viso. L’emozione però è una sola. Una parola si fa mezzo del pensiero e taglia l’aria con un soffio delle labbra. Ma l’idea rimane quella. Un bacio lascia che due cuori si possano sfiorare. La scossa d’amore, però, ha la stessa intensità per entrambi. Aurelia cresceva, cresceva sempre più, e fu questo a farle finalmente intuire che non doveva avere paura di brillare. Il controllo che cercava di mantenere era inutile come aggrapparsi alla nebbia.
Anche se il tempo passava e sembrava essere stato un confine tra la piccola Aurelia e la giovane Aurelia, lei in fondo era sempre la stessa, una sola unica Aurelia, che non doveva temere di tornare a viaggiare nella capsula, ma che era diventata consapevole dell’immensità di quella linea sottile d’inchiostro sulla scheda di grammatica.

Beatrice Barozzi, 3ALF