Pellicola del regista Roland Joffé del 1986, Mission è un eccellente esempio di stile e modalità di vita del movimento gesuita negli anni ‘50 del Settecento in Sud America e delle loro azioni benevole nei confronti delle popolazioni indigene. È un gesuita in particolare, Padre Gabriel, interpretato da Jeremy Irons, che decide di partire portando con sé il messaggio cristiano da condividere. Egli è sicuramente un personaggio con una gran tenacia e sicurezza di sé, grazie alla fede per la religione cristiana che lo illumina e lo spinge a fare il bene nella sua società e cercando di espanderlo altrove.
È in Sud America, precisamente nella piccola foresta pluviale sopra le cascate dell’Iguazù, al confine tra Argentina, Brasile e Paraguay che egli fa la conoscenza di Rodrigo Mendoza, un trafficante di schiavi travolto dal rimorso in seguito all’assassinio di suo fratello Felipe. Grazie a Padre Gabriel, riesce a redimersi e si mette al servizio dei missionari gesuiti, arrivando a farne parte realmente, prendendo i voti.
Da qui in avanti il film è un trascorso tra missioni e conflitti politici, il tutto incorniciato da paesaggi e riprese mozzafiato, rendendo a pieno la bellezza delle foreste incontaminate. La fotografia è accompagnata dalle musiche inconfondibili di Morricone, che donano come sempre quel tocco in più al quadro generale.
Sicuramente l’evoluzione del film non è molto incalzante, è tutto disposto in modo adeguato all’ambientazione, alla struttura delle azioni e ai personaggi, con flemma. Il messaggio che vuole essere trasmesso ruota forse su qualcosa di più negativo che altro: la difficoltà di riuscire ad affermare il bene nella società, a giungere ad un punto di incontro stabile e funzionale.
Come spesso accade, alla fine del film prevale la forza e la sete di potere che alimenta sempre gli uomini nel momento in cui giungono a possedere e a controllare più di quanto ne siano realmente in grado, sfociando a prevalere, in questo caso, sui pochi indigeni rimasti, massacrandoli quasi completamente. Viene rappresentato in modo chiaro ciò a cui porta l’ignoranza e la cruda realtà, perché non è altro che questo, la fame di potere porta proprio i potenti a non accettare che gli indios potessero vivere in modo tranquillo ed innocuo, indipendenti dalla società e dalla politica. per questo vengono massacrati, per ragioni moralmente inesistenti.
In conclusione, Mission, oltre ad essere una grande opera a livello cinematografico, può tornare utile come un ottimo approfondimento di tale argomento.
È in Sud America, precisamente nella piccola foresta pluviale sopra le cascate dell’Iguazù, al confine tra Argentina, Brasile e Paraguay che egli fa la conoscenza di Rodrigo Mendoza, un trafficante di schiavi travolto dal rimorso in seguito all’assassinio di suo fratello Felipe. Grazie a Padre Gabriel, riesce a redimersi e si mette al servizio dei missionari gesuiti, arrivando a farne parte realmente, prendendo i voti.
Da qui in avanti il film è un trascorso tra missioni e conflitti politici, il tutto incorniciato da paesaggi e riprese mozzafiato, rendendo a pieno la bellezza delle foreste incontaminate. La fotografia è accompagnata dalle musiche inconfondibili di Morricone, che donano come sempre quel tocco in più al quadro generale.
Come spesso accade, alla fine del film prevale la forza e la sete di potere che alimenta sempre gli uomini nel momento in cui giungono a possedere e a controllare più di quanto ne siano realmente in grado, sfociando a prevalere, in questo caso, sui pochi indigeni rimasti, massacrandoli quasi completamente. Viene rappresentato in modo chiaro ciò a cui porta l’ignoranza e la cruda realtà, perché non è altro che questo, la fame di potere porta proprio i potenti a non accettare che gli indios potessero vivere in modo tranquillo ed innocuo, indipendenti dalla società e dalla politica. per questo vengono massacrati, per ragioni moralmente inesistenti.
In conclusione, Mission, oltre ad essere una grande opera a livello cinematografico, può tornare utile come un ottimo approfondimento di tale argomento.
Carlotta Martini e la classe 4^BLS
Ringraziamo il Prof. Giulio Bellocchio per la collaborazione anche nel precedente articolo.