IL PROBLEMA DEL DISSESTO IDROGEOLOGICO NELL’ALTO VERBANO

 Il dissesto idrogeologico è un fenomeno che, in quest’ultimo periodo, sta riguardando sempre più spesso le nostre zone con conseguenze a volte devastanti, come la terribile tromba d’aria che ha distrutto moltissimi alberi sul Campo dei Fiori o le frane dell’ultimo autunno in Val Veddasca; per questo motivo ho deciso di intervistare il Prof. Federico Pasquarè Mariotto, docente di “Comunicazione delle emergenze ambientali” e di “Scienza e cinema” presso il Corso di Laurea di Scienze della Comunicazione e Scienze Tecniche della Comunicazione – Università degli Studi dell’Insubria. 

Che cos’è il dissesto idrogeologico?
Il dissesto idrogeologico è un concetto che spesso viene confuso dai giornalisti e dai non addetti ai lavori in generale, che lo utilizzano come sinonimo di “Rischio idrogeologico”. In realtà il dissesto può essere definito un fattore che predispone un determinato territorio a essere più o meno “preda” del rischio idrogeologico. Infatti, quanto più una regione è “dissestata” e ha perso il suo equilibrio naturale, tanto più può essere colpita da eventi alluvionali e franosi, sempre in concomitanza con precipitazioni eccezionali e concentrate nel tempo.

Quali cause può avere?
Il dissesto è, in parte, un processo naturale di erosione del suolo ad opera delle acque piovane che incidono il terreno, soprattutto nelle zone collinari, pedemontane e montane.

Quali cause dipendono dall’Uomo?
L’Uomo può aggravare la tendenza all’erosione del suolo, attraverso la deforestazione: tagliare gli alberi, soprattutto in zone montuose, priva il territorio di una protezione fondamentale per il suolo e accentua il rischio di frane e alluvioni. Inoltre, la cementificazione degli alvei fluviali rende impossibile per l’acqua piovana infiltrarsi nel terreno: più cemento significa impedire l’infiltrazione dell’acqua che scorre così velocemente verso il basso, con effetti spesso distruttivi per le comunità che si trovano nel fondovalle.

Perché negli ultimi anni si è diffuso così tanto questo fenomeno?
Da un lato, l’abbandono della montagna ha privato il territorio di quella manutenzione dell’ambiente locale che aveva una funzione vitale per limitare il dissesto idrogeologico. Dall’altro, la deforestazione accelerata, per far spazio a sempre nuove costruzioni ed edifici, ha peggiorato notevolmente la situazione.

Il dissesto idrogeologico è in qualche modo legato al clima?
Certamente, le piogge intensissime e improvvise, le cosiddette “bombe d’acqua”, sono in grado di erodere il suolo ad un tasso accelerato e, soprattutto, possono trascinare a valle fango, detriti, massi, alberi sradicati, dando luogo a frane e alluvioni. Le bombe d’acqua sono difficilissime da prevedere per i meteorologi e dipendono certamente in parte dal cambiamento del clima, fenomeno in continuo aggravamento nell’ultimo decennio.

Se sì, attenuando l’inquinamento di veicoli, fabbriche e quant’altro, si potrebbe fermare?
Certamente è fondamentale un’opera di “mitigazione” del problema del riscaldamento globale, a sua volta responsabile dei cambiamenti climatici. Possiamo tutti contribuire, attraverso soluzioni di risparmio energetico, utilizzo di mezzi alternativi per spostamenti in città, car sharing, installazione di pannelli solari e impianti eolici.

Al fine della risoluzione del problema possono contribuire le idee proposte dagli ambientalisti più estremi, come, ad esempio, evitare di costruire strade, ferrovie, tunnel, ecc.?
Senza dubbio, anche senza essere ambientalisti estremi, possiamo immaginare che, qualora un’opera non sia strettamente necessaria, oppure sia potenzialmente destabilizzante per l’ambiente, sarebbe meglio evitare di realizzarla. L’esempio della Diga del Vajont, costruita a fine anni ’50 in una zona non adatta e anzi pericolosa a livello idrogeologico, e che causò la più grande frana della storia del nostro Paese (ottobre 1963), dovrebbe essere sempre tenuto a mente.

Nei prossimi anni il fenomeno potrebbe, invece, ingigantirsi?
Indubbiamente, se l’intera società non riuscirà a comprendere lo stretto legame che esiste fra cambiamenti climatici ed eventi idrogeologici estremi, la situazione non potrà che peggiorare in futuro.

In quel caso anche le aree protette, come il Parco del Campo dei Fiori, saranno a rischio?
Mantenere un’area protetta significa impedirne il disboscamento e assicurare che non vengano costruite opere “invasive” per il territorio locale. Purtroppo, come abbiamo visto a inizio ottobre, la furia degli elementi può portare alla rimozione di migliaia di alberi e allo sconvolgimento anche di un ambiente protetto come il Parco del Campo dei Fiori.

Le nostre case/edifici sono abbastanza stabili per fronteggiare una possibile catastrofe?
Le catastrofi idrogeologiche colpiscono maggiormente i centri abitati che si trovano molto vicine allo sbocco di valli solcate da fiumi e torrenti, che possono dare luogo alle cosiddette “alluvioni lampo”. Il caso del centro abitato di Sarno (SA), nel 1998, ne è un esempio fondamentale. Quel giorno di maggio, 160 persone persero la vita a causa di una colata di fango improvvisa e velocissima, proveniente dai ripidi versanti sotto i quali era stato costruito il paese. Comunque, in generale, a parte il caso di frane o alluvioni di entità eccezionale, gli edifici riescono a reggere l’impatto dell’acqua e del fango senza essere completamente travolti. Invece, l’integrità strutturale degli edifici è maggiormente a rischio nel caso dei forti terremoti, che scuotono con forza le case dalle fondamenta.

Nel nostro territorio non ci sono mai state grandi catastrofi climatiche come quella sul Campo dei Fiori o in Val Veddasca dello scorso autunno: questo ci può far dedurre che il nostro atteggiamento verso l’ambiente è errato ed egocentrico e che dovremmo “darci una mossa” a cambiare?
I disastri ambientali (che potremmo definire “meteoclimatici”) di settembre e ottobre 2020 dipendono sia da dinamiche naturali, sia dalle condizioni di dissesto in cui si trova il territorio a causa dell’intervento dell’Uomo. Non c’è dubbio che una maggiore attenzione, da parte delle comunità locali, al proprio patrimonio ambientale, e un impegno costante per ridurre i cambiamenti climatici (anche con piccoli gesti quotidiani) potrebbe migliorare enormemente la situazione dei nostri centri abitati e ridurre sensibilmente il rischio idrogeologico.

Mario Facchetti (1B)