QUALCOSA PER CUI UNA FINE NON C'È

Quando penso al futuro, c'è solo una cosa che mi auguro, continuare a fare la stessa cosa che mi impegna le mani in questo momento: scrivere. No, non mi serve la felicità, perché qualsiasi emozioni, bella o brutta, canalizzata su un foglio produrrà gioia ai miei occhi.

Mi chiedo spesso cosa ne pensassero i grandi del passato, quelli che sapevano scrivere veramente: ci staremo prendendo cura di loro?

O meglio, saranno contenti di sapere di essere ricordati così, d'accordo con le interpretazioni entro cui obblighiamo i loro versi? Oppure, ancora, delusi e amareggiati per come abbiamo saputo rovinare la cosa più preziosa che ci hanno donato: la loro voce. Perché in fondo, se ben ci pensiamo, tutti quei foglietti rilegati non sono altro che la traduzione della loro anima. Forse, se fossero ancora qua, ci riderebbero in faccia. Può essere. Shakespeare sosteneva che la poesia potesse rendere l'uomo immortale: presuntuoso, direte voi, eppure è realtà...come quella volta che, giocando a fare i ciceroni per le vie del centro storico, abbiamo rispolverato le parole di quell'uomo, un po' tirchio e con un cappello sempre in testa, che si faceva chiamare Piero, ma che da tutti è conosciuto come Chiara.

Ci siamo dedicati a lui come si fa con un bimbo: cautamente, con gentilezza e rispetto, riuscendo a donare un pezzettino della nostra letteratura a 7 ragazze francesi, finite in Italia per un preciso motivo: un progetto di scambio chiamato Transalp.

E se la poesia è davvero capace di scavalcare confini, arrivare in capo al mondo senza passaporto e senza essere trattenuta in nessuna dogana, allora forse è vero, è veramente così: la poesia non rende immortale, è essa stessa priva di una fine.

Martina Soligo (4^ALF)