UN EX torna al Sereni....con Sereni!!! Grazie, Marco

Sabato 19 maggio, in 5^U, la lezione di letteratura italiana è stata svolta da Marco Gnemmi, ex alunno del Liceo Sereni, laureatosi con una tesi proprio sull’autore luinese Vittorio Sereni. Marco ha aiutato noi ragazze a conoscere la figura dell’autore, anche collocando i luoghi descritti nelle poesie direttamente nel luinese, con l’aiuto di foto d’epoca.

TERRAZZA

Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai
dove il lago finisca;
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira se ne va.

‘’Terrazza’’ venne scritta da Sereni sul retro di una cartolina di Luino, mentre si trovava con alcuni amici al Caffè L’Imbarcadero; in realtà il luogo che l’autore immagina nella stesura della poesia è quello di Palazzo Verbania, su una terrazza - appunto - che si affacciava sul lago.

La poesia descrive il momento in cui il sole cala, quando arriva la sera e l’oscurità del cielo non permette all’uomo di distinguere le sponde del lago. Sereni e un'amica, Bianca, osservano dalla terrazza il buio attorno a loro squarciato dalla luce di una torpediniera che passa, lasciando i due personaggi nuovamente nel buio, creando in loro un senso di incertezza e la consapevolezza di essere soli nella storia. La terrazza assume in questa lirica il significato una frontiera, molto caro al poeta luinese, che permette all’uomo di sporgersi per vedere altri mondi.

Nel 1935 Vittorio Sereni scriveva “Lontananze”, che avrebbe poi acquisito il titolo di “Inverno”, il cui soggetto principale è un paesaggio invernale (l’autore lascia solo intuire che si tratti di Luino). Sereni, in un primo momento, contempla la fissità del paesaggio ricco di colori spenti ma prima della lirica è accaduto dell’altro che non viene comunicato al lettore, come comprendiamo dai puntini di sospensione con cui la lirica si apre e dal “ma” seguente. Successivamente,il paesaggio si fa più armonico ma il finale è cupo. Esattamente come Leopardi ne “L’infinito”, l’autore si trova davanti ad un paesaggio degli affetti, dal quale vuole estraniarsi, diventando altro da sé, nel tentativo di aprirsi a una nuova conoscenza offerta sempre dalla frontiera, ostacolo analogo alla siepe leopardiana.

Ti distendi e respiri nei colori.
Nel golfo irrequieto,
nei cumuli di carbone irti al sole
sfavilla e s'abbandona
l'estremità del borgo.
Colgo il tuo cuore
se nell'alto silenzio mi commuove
un bisbiglio di gente per le strade.
Morto in tramonti nebbiosi d'altri cieli
sopravvivo alle tue sere celesti,
ai radi battelli del tardi
di luminarie fioriti.
Quando pieghi al sonno
e dài suoni di zoccoli e canzoni
e m'attardo smarrito ai tuoi bivi
m'accendi nel buio d'una piazza
una luce di calma, una vetrina.

Fuggirò quando il vento
investirà le tue rive;
sa la gente del porto quant'è vana
la difesa dei limpidi giorni.

Di notte il paese è frugato dai fari,
lo borda un'insonnia di fuochi
vaganti nella campagna,
un fioco tumulto di lontane
locomotive verso la frontiera.

da Poesie 1942

Un abbraccio solidale a tutti noi di quinta


Cappato Claudia  e La Iacona Silvia (5U)