Il cielo sopra di noi. Kant e il destino storico dell'umanità.

Ebbene che cos’è un titolo senza una storia?
Chi mai potrebbe capirlo?
Ecco dunque una storia, che racconta di un’esperienza realmente vissuta (vi assicuro che è così) a cui si è voluto dare questo titolo, tra l’altro abbastanza altisonante.
Alcuni forse si domanderanno: ‘’Ma cosa? Chi? Dove? Quando?!’’… se vi intrigasse l’idea di scoprirlo e capirci qualcosa, non basterebbe altro che leggere con un po’ di pazienza qualche riga di questo modesto articolo, in cui cercherò di evitare il superfluo per cogliere l’essenza di ciò che voglio dire.
Procedendo con un minimo di ordine:
-Chi? Io e alcuni ragazzi del nostro liceo, insieme ad altre scuole che partecipano al progetto di filosofia Giovani pensatori.
-Dove? Presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese.
-Quando? Mercoledì 11 gennaio 2017, dalle ore 9 alle ore 12 circa.
-Perché? A questa domanda è già più difficile rispondere, ma forse non è nemmeno poi così indispensabile.
Perché quello che vorrei narrare è in realtà cosa è nato in me a partire da questo incontro, cioè quello che mi è rimasto più impresso e che per me è stato davvero bello.
‘’Il paradosso è il motore del mondo!’’ E’ questa una delle prime frasi con cui si è aperta la conferenza appena accennata, a cura di Carlo Sini (emerito dell’Università degli Studi di Milano, Socio Nazionale dell’Accademia dei Lincei).
E quante volte si è realizzata nella mia vita…ah, solo a pensarci! Quante nella storia dell’umanità? Del mondo?! Perfino ora!
Ogni montagna ha un versante di luce e uno di ombra.
Allo stesso modo sembrano coesistere due poli opposti nell’uomo, come una sorta di socievole insocievolezza.

Provo a spiegarmi meglio: esiste in noi un istinto egoico che ci spinge a considerarci come il centro dell’universo di noi stessi, ponendo ‘’l’altro’’ in secondo piano, e dal lato opposto c’è il continuo tentativo di subordinarci in virtù di qualcosa che vada oltre noi stessi, una complessità più ampia (es. figli, società).
‘’E’ il conflitto che costringe l’uomo ad essere libero!’’, continuava.
In effetti è questa tensione a porci sempre innanzi a una scelta, un bivio.
E se non ci fosse scelta come potrebbe esserci libertà? Che senso avrebbero premi Nobel, carceri e tribunali?
Attenzione: non c’è nulla che dimostri la nostra libertà, che non siamo altro che anelli di una catena già determinata. Se fossimo girarrosti e potessimo pensare, magari ci convinceremmo di girare liberamente.
Eppure è necessario pensare che sia così, che siamo liberi, perché la natura, il mondo, la vita, sono strutturati come se lo fossimo. Certo la libertà comporta anche una grande responsabilità: ammettere che siamo, almeno in parte o potenzialmente, artefici di noi stessi.
E tutto questo non basta, poiché la libertà come ogni cosa, va esercitata.
Con passione, determinazione, superando i fallimenti, oltrepassando i limiti imposti dal pensiero, da quell’io che parla alla mente. Come quando si dice ‘’non sono capace, ogni sforzo è vano!’’, e ci si ferma lì.
Forse bisognerebbe imparare a vivere per la sola gioia di vivere, non unicamente per mangiare, bere, lavorare, riprodursi, diventare qualcuno.
Kant diceva: ‘’Alcuni potrebbero pensare che una colomba, volando, incontri l’attrito dell’aria, e che se non lo incontrasse farebbe meno fatica. Ma è proprio quest’attrito che permette alla colomba di volare.’’
Il filosofo Carlo Sini
In questo caso la colomba rappresenta la purezza della ragione che si scontra con le difficoltà della vita, la ragione inserita in un processo dialettico e dinamico, concreto e reale: storico, per l’appunto.
In sintesi non è inopportuno dire che l’uomo sia incapace di elevarsi al di sopra di questa incessante tensione, generata dal paradosso che egli abita.
Egli sarà sempre partecipe di questo eterno conflitto: la lotta per la giustizia, la miseria della vita quotidiana, le piccole cose di ogni giorno, indispensabili ma allo stesso tempo insufficienti, per le quali è disposto persino a morire.
Questa sarebbe potuta essere la conclusione eppure no, per me è un punto di partenza. Perché il conflitto ha senso quando è regolato, moderato; e se ci sono uomini disposti a morire, ci sono anche uomini disposti a vivere per quello in cui credono, possa essere anche solo un sogno o un’utopia.
Ci sono uomini che amano, che tendono all’armonia dei propri opposti.
Che sanno stare soli amando se stessi, in compagnia amando oltre se stessi.
Uomini consapevoli e aperti al dialogo.
E da questi uomini nascono opere meravigliose che diventano come tesori per l’umanità.
Uomini di cui si raccontano storie.

Cristina Borrelli (VD)