Lettera ad uno studente: il PCTO presso la scuola primaria

Caro studente,

probabilmente quest’anno dovrai svolgere la tua settimana di PCTO in una scuola dell’infanzia o in una primaria, perché di prassi al quarto anno del liceo delle Scienze Umane è lì che ci fanno andare. Lo scopo del PCTO, penso che tu ormai lo sappia, è conoscere ambienti lavorativi strettamente connessi con l’indirizzo che hai scelto, per vedere se una determinata professione può interessarti o meno e le scuole sono sicuramente uno degli ambienti più vicini al “nostro mondo”.
Probabilmente adesso avrai tante domande che ti riempiono la testa: “ma una volta lì che cosa devo fare?” “e se non piacessi ai bambini?” “e se non mi trovassi bene?”, tanti “se” che per quanto siano perfettamente normali e comprensibili rischiano di farti vivere nel modo sbagliato questa esperienza.
Sono quindi qui per parlarti della mia settimana e per cercare, nel mio piccolo, di risolvere almeno qualcuno di quei dilemmi che nascono ogni qual volta si deve fare qualcosa che esce dalla nostra “comfort zone”.
Io ho svolto la mia settimana di PCTO presso la Scuola Primaria “G. Pascoli” di Germignaga, in una quinta elementare.

Partiamo già con un consiglio: l’esperienza non inizia veramente il giorno preciso in cui ti rechi a scuola per stare con i bambini. Infatti, io e le mie compagne avevamo incontrato le maestre qualche giorno prima, così da poterle conoscere, sapere qualcosa in più riguardo ai bambini con cui poi saremmo state, ma anche più generalmente per conoscere l’ambiente e non ritrovarci spaesate il primo giorno.
Fidati, sembra inutile, ma questo colloquio mi ha aiutato a farmi un’idea realistica di quello che avrei poi vissuto da lì a breve.
Dopo aver scoperto che avrei avuto a che fare con dei ragazzi di dieci o undici anni e dopo essermi posta le stesse domande che ti starai ponendo tu ora, il primo giorno è finalmente arrivato.

Com’era la mia classe?

La mia classe era inizialmente molto timida: si sono seduti tutti ai loro posti in silenzio, mi guardavano con i loro grandi occhioni curiosi come fossi un alieno ma emozionati come quando vedono uno scoiattolo arrampicarsi su un albero.
Anche loro erano pieni di domande che si vergognavano a farmi, volevano sapere ogni piccolo dettaglio della mia vita: quanti anni avevo, se avevo un animale domestico, che scuola facevo, il mio colore preferito, se mi piacevano le colombe (domanda che mi hanno veramente fatto), se avessi un fidanzato o una migliore amica. Forse si potrebbero considerare leggermente invasivi, ma alla fine sono solo dei bambini che provano tanto interesse nei tuoi confronti e vogliono conoscerti, quindi non biasimarli.
Mi raccomando, non preoccuparti se anche con te in un primo momento dovessero sembrare chiusi o distaccati perché è normale, sono ancora piccoli; fidati che però basta veramente molto poco per far sì che si aprano a te e ti diano tutto l’amore che il loro piccolo cuoricino può contenere.

Continuiamo con i consigli: secondo me devi trovare un modo per entrare in relazione con ognuno di loro. Sono tutti bambini diversi, con personalità e storie diverse, quindi non puoi pretendere di conoscerli tutti nello stesso modo. Osservali e capisci i loro interessi, quello che fanno volentieri, così da instaurare un dialogo su quell’argomento e far loro percepire il tuo interesse in ciò che hanno da dirti. Con quelli più timidi è stato sicuramente più difficile, ma passando del tempo con loro ho potuto capire quali erano le loro passioni, come il disegno o la lettura, così da poi poter parlare di quel determinato hobby.
Falli sentire inclusi, capiti, apprezzati; devono percepire che sei interessato a quello che hanno da raccontare, che hai voglia di stare lì con loro. I bambini capiscono quando qualcuno vorrebbe essere da tutt’altra parte, soprattutto se come nel mio caso sono bambini di quinta elementare, quindi già relativamente grandi. Falli sentire speciali, unici, non darli mai per scontati.
Hai presente quando a scuola ti hanno parlato del "puerocentrismo"? Quella concezione che pone il bambino al centro del processo educativo conformandolo in relazione ai suoi bisogni e alle sue attitudini? Ecco, secondo me è così che bisognerebbe approcciarsi ai ragazzi, e questo non è un metodo che ho inventato io in questa settimana ma già nel 1700 Jean-Jacques Rousseau affermava esplicitamente quanto sia necessario conoscere i propri allievi.

Cosa devo fare?

Beh la risposta varia a seconda della maestra presente in classe durante l’ora. Per i primi giorni sono le stesse maestre a fornirti indicazioni, dopotutto conoscono sicuramente la classe e i suoi bisogni. Ad esempio, la mia prima ora di stage è stata quella di inglese e subito la maestra mi ha affiancato a due bambini che facevano fatica e che quindi avrebbero avuto un bisogno maggiore di aiuto. L’ora successiva, durante la preparazione alle Invalsi di italiano, la maestra mi ha affidato un gruppetto al quale leggere il testo perché così era più facile per loro comprenderlo.
Questo per dirti che le maestre aiutano veramente tanto; io ho avuto la fortuna di avere insegnanti competenti e gentili. Da loro si può imparare molto su come effettivamente gestire la classe. Ho potuto assistere all’applicazione di diversi metodi educativi: alcuni si basavano sul rigore, sulla fermezza, quasi sul timore dei bambini nei confronti della docente. Per esempio, nel momento in cui a un bambino scappava magari una parola di troppo, la maestra alzava subito il tono di voce, intimandogli a stare in silenzio e spesso utilizzando un sarcasmo piuttosto pungente o frasi che facevano sentire il bambino in difetto. Nel momento in cui ella entrava in classe i bambini cadevano in un silenzio tombale, nonostante di norma fossero un gruppo abbastanza vivace.
Non sono pienamente d’accordo con questa sua modalità: è giusto che i bambini rispettino chi sta dietro alla cattedra, ma allo stesso tempo ho potuto osservare come durante quelle ore perdessero la loro autenticità, diventando quasi una massa di individui tutti uguali. Secondo me insegnare loro il rispetto delle regole, dei collaboratori scolastici e dei docenti è importante, ma ci sono modi e modi per far apprendere loro determinate conoscenze. Non bisogna dimenticare il fatto che sono comunque ancora dei bambini e non dovrebbero essere trattati con tanto rigore. Forse avrei preferito vedere atteggiamenti più pacati e empatici, perché per quanto ho potuto osservare, il rimprovero “cattivo” non portava alla comprensione di ciò che avevano sbagliato, solo a un momento di tristezza e rabbia temporaneo che non lasciava nulla al bambino.
Al contrario, ho apprezzato molto la lezione che la maestra di italiano ha svolto sulla poesia di Gianni Rodari: “21 Marzo”. Dopo aver letto la poesia più volte, ha spiegato loro il messaggio di pace e libertà che essa voleva trasmettere, facendo anche un approfondimento sulle situazioni di guerra contemporanee. Trovo infatti fondamentale che dei bambini di quinta elementare, quindi in grado di comprendere se spiegato adeguatamente, siano a conoscenza di ciò che sta accadendo nel mondo. Solo così potranno sviluppare un pensiero critico e distinguere azioni giuste e civili da quelle sbagliate.
Andando avanti con i giorni capisci un po’ da solo che cosa devi fare, vedi quelli che sono gli ambiti in cui alcuni bambini hanno magari bisogno di un occhio in più e quando invece devono cercare di fare le cose da soli.
Ecco adesso che mi viene in mente, ricordati che loro sono comunque a scuola e sono lì per imparare. Dar loro una mano è sicuramente una buona azione, ma attento a non fare tu gli esercizi per loro; cerca di far sì che arrivino da soli alle risposte sulla base delle conoscenze che hanno, altrimenti non imparano niente.
Questo per dirti che è importante instaurare un rapporto di fiducia, ma bisogna anche imparare a mantenere il proprio “ruolo educativo” senza diventare oggetto di distrazione, in quanto considerato loro amico più che qualcuno lì in grado di “insegnare”.

E se non mi trovassi bene?

Non posso dirti che sicuramente non succederà, tutto dipende ovviamente dall’ambiente in cui ti trovi e da chi ti circonda.
Quello che posso invece suggerirti è che dipende anche molto dal tuo carattere e da come tu ti poni nei confronti dell’esperienza. Se parti già con poca voglia di andare e di stare con dei bambini, le probabilità che tu possa trovarti male sono molto più alte: uno sguardo negativo continuerà a vedere il brutto nelle cose e questo ti porterà a non apprezzare i lati positivi.

Goditela questa esperienza, non solo perché è una settimana a casa da scuola, ma perché veramente impari tanto. Ti permette di sviluppare competenze diverse: comunicazione, pazienza, organizzazione e responsabilità. Io ho imparato molto su come dialogare con i bambini, su come instaurare una relazione che sia vantaggiosa per entrambe le parti: è necessario parlare in modo chiaro e semplice, senza fare frasi troppo lunghe, altrimenti rischi di perdere la loro attenzione. Ho imparato come organizzare una giornata di lavoro, come tenere una classe in assenza della maestra e come mantenere la pazienza in determinate situazioni: i bambini potrebbero aver bisogno che tu ripeta loro le cose anche dieci volte per capirle, a volte non ti ascolteranno e continueranno a fare di testa loro. Per questo è necessario imparare a gestire le emozioni, usarle correttamente. L’empatia, la sensibilità, sono tutti aspetti che ti saranno molto utili nel momento in cui ti relazioni con un bambino.

In conclusione ...

Io credo che come esperienza mi sia servita molto: ho capito che fare la maestra non è sicuramente la mia strada ma ho avuto la conferma del fatto che voglio lavorare nell’ambito infantile, quindi ora ho almeno una certezza su ciò che mi aspetterà in futuro. Sono convinta che se affronterai questa esperienza con entusiasmo e apertura imparerai tanto, non solo a livello “lavorativo” ma anche su te stesso: su cosa ti piacerebbe poi fare, su che persona vuoi essere, se questa è la tua strada o meno. I bambini insegnano tanto, spesso anche senza dire una parola. Basta saperli osservare.
Quando sono entrata per la prima volta in 5A, non sapevo bene cosa aspettarmi. Oggi, guardandomi indietro, posso dire che ogni sorriso, ogni domanda buffa, ogni momento condiviso con quei bambini mi ha lasciato qualcosa. Loro forse non se ne rendono conto, ma mi hanno insegnato più di quanto io abbia insegnato a loro. Immersa in quella classe ho riscoperto la semplicità, la spontaneità, ma anche la responsabilità che si ha quando si diventa un punto di riferimento, anche solo per un momento.

Lascio questa esperienza con gratitudine, con un cuore pieno e con la certezza che un pezzettino di me rimarrà in quella classe, tra disegni, matite e gli evidenziatori che ho regalato ad ognuno di loro l’ultimo giorno, esattamente come loro rimarranno dentro di me.

Spero di aver risposto ad almeno qualcuna delle domande che ti starai ponendo in questo momento, di averti in un qualche modo aiutato raccontandoti la mia esperienza.

Ora tocca a te, io il mio l’ho fatto.

Buona Fortuna, divertiti!

Giorgia Lombardo, 4U